Cronaca della conviviale n. 24 del 12 febbraio 2007
Tema: “Milano, la storia: I Borromeo” |
Taccia il fragore delle ormai vinte armi sforzesche, tacciano le armi dei nuovi dominatori spagnoli. Irrompe su Milano il fragoroso silenzio di preghiera e di meditazione di due grandi Spiriti, i vescovi Carlo, già santo in vita, e Federico Borromeo, suo cugino e continuatore. E’ l’apogeo della Cristianità, che a Lepanto affermerà la sua sovranità tangibile sul mondo occidentale e nel Concilio di Trento ha appena scritto, con quella che chiamiamo la Controriforma, le sue nuove Tavole, ha riscolpito il suo Credo e sta trionfando sulla Riforma protestante, di cui è contemporanea e non necessariamente antagonista, e sulle nuove eresie. Dal Concilio giunge a Milano un vescovo quasi imberbe, che sta riscattando negli studi, nella meditazione e nella mortificazione della carne, le singolari parentali benevolenze. E’ Carlo, che dal 1564 al 1580 farà dell’umiltà la sua forza, della cultura l’arma missionaria di un Magistero che giunge fino ai lontani Grigioni e si immerge nella vicina Emilia; e che semina di Chiese e di opere d’arte ineguagliabile in esse, una ascesa verso l’imitazione perfetta di Cristo. Un Carlo che si può leggere attraverso le sue opere di carità e il suo essere nella Storia, ma anche, come la sera del 12 febbraio, al Giardini, attraverso il percorso inusitato, per i più inatteso, per tutti stupefacente, che ne ha fatto Pier Paolo Biscottini - la cui qualifica di professore sarebbe soltanto riduttiva, egli stesso una figura ascetica di studioso: il percorso della simbiosi fede-arte, dell’arte-rappresentazione di fede. Carlo esce dalla sua piccola cella dove gli sono compagni un libro, un quadro del Peterzano, un bicchier d’acqua e un tozzo di pane, affranto dal suo cilicio e dai digiuni, chiude il Duomo al transito ingiurioso dei mercanti, restituisce agli altari, con il Ciborio, la loro sacralità di custodi dell’Eucaristia e a ogni palpito della sua cristologia vivente suggerisce immagini che sono altrettante Stazioni di fede. Gli forniscono l’afflato artisti come Gaudenzio Ferrari, Callisto Piazza, il bresciano Moretto, Antonio Campi. Lo recepiscono i “nuovi” interpreti dell’ “arte di contenuto” che Carlo, il primo teorizzatore dei doveri verso i “beni culturali”, propugna: tra gli altri il Lomazzo e la sua scuola, il Figino, il Tibaldi. A Carlo succede nel magistero pastorale milanese, dopo un intervallo di quindici anni, un altro grande Borromeo, Federico, dal 1595 al 1631, la cui bandiera culturale-religiosa è racchiusa nella frase “la cultura è carità”, uno strumento fondamentale per il riscatto dalla povertà dello spirito. La cristologia di Federico passa attraverso l’esaltazione di quella che ardeva nel cuore del Grande cugino, che la Chiesa avvia alla Santità conclamata. E anche qui il percorso della fede e della dedizione è un percorso d’arte, le cui tappe pittoriche Pier Paolo Biscottini ci fa percorrere sullo schermo. Un itinerario che parla del Procaccini, di un Tanzio da Varallo, di Serodine. di Vermiglio, del Morazzone, che recuperano la naturale, storica, tendenza lombarda verso la ricerca naturalistica. Riscopriamo con l’oratore gl’inimmaginabili tesori delle chiese milanesi, davanti alle quali ci accorgiamo di essere passati inconsapevoli e distratti, sfiorandole apatici mentre trasciniamo via la nostra inutile corsa verso chissà che cosa. Nicola D’Amico |