Il
12 dicembre del 1982 il Corriere della Sera, a pag. 8, pubblicava il primo di
una serie di articoli sui diciassette “circoli esclusivi” della haute italiana.
In esso si poteva leggere: “La Società del Giardino di Milano è prossima a
compiere 200 anni di vita. In due secoli ha conservato esclusività e classe. I
Savoia e persino gli arcivescovi andavano alla sue feste, già frequentate da
Porta e Stendhal. Il Porta, anzi, ne immortalò il famoso maggiordomo inglese
Akmet”. L’articolo era firmato da un giornalista che i soci del Giardini
dovrebbero conoscere, ma di cui ci sfugge il nome.
Ora la Società del Giardino di anni
sta per compierne 225 e le celebrazioni del fausto genetliaco sono state
anticipate la sera di lunedì 4 giugno al Rotary Giardini (che il plurale nel
nome non ci faccia montare la testa, per piacere) dall’amabile Signora Stella
Meyer Tiengo, moglie del Presidente della Società del Giardino e nostro socio
onorario, l’ ”uomo che sussurra al dolore” (e lo sconfigge).
Nelle parole della Meyer -
californiana per nascita e italiana per amore, storica dell’arte ( just arrived
dalla conferenza sull’arte rinascimentale milanese tenuta alla Renaissance
Society of America a Miami) - quel giornalista di cui ci sfugge il nome rivive
l’emozione di quella visita del lontano 1982, lungo i saloni dalle volte dorate,
con alle pareti le lunghe file di poltrone e di divani in seta dorata, con alle
bianche pareti i ritratti di coloro che hanno fatto grande Milano, e in un
angolo il busto di Giuditta Pasta, la voce d’Angelo che ammaliò Bellini e
Donizzetti. Mentre da una solenne finestra-balcone si affaccia, inserito tra due
raggi di sole, il giardino incantato con la Sala d’armi del Circolo della
Scherma, evocatrice dell’Inghilterra vittoriana e dell’amabile umorismo dei
racconti di Woodhouse.
Era il 1783 quando, sopraffatti da un
gran caldo estivo, alcuni giovani dell’alta borghesia milanese decidono di
ritrovarsi in un luogo fresco e accogliente per giocare alle carte e alle bocce
lontani da occhi indiscreti .
Cinque anni dopo la giovane “Società”
ha anche uno Statuto, allora manoscritto, poi stampato nel 1803. La Società
funziona, gli amici rispettano le regole che si sono spontaneamente dati
(discrezione, amore per la Patria ma non politica militante, almeno nelle sale
della comunità). Già dal 1796 la Società ottiene il riconoscimento legale e con
questa patente attraversa il sanguinoso “dialogo” tra Napoleone e Austriaci che
vanno e vengono da Milano. E finalmente è Giardino. Con l’acquisto, nel 1818,
del prestigioso Palazzo degli Spinola, la storica famiglia genovese di
condottieri e di santi. E qui avrà inizio la festosa kermesse di eleganze
muliebri che va sotto il nome dell’ormai storico “Ballo delle Rose” nel mitico
“Salone d’Oro”.
L’albo d’onore porta firme fra le più
prestigiose: dal Porta a Cattaneo, dai Borromeo a Girolamo Induno ai Bagatti
Valsecchi, fino a Trilussa e Pirandello, che arricchiscono con la loro
conversazione questa “isola di pace” che è la Società del Giardino, il cui
motto potrebbe essere, come accenna la Signora Meyer Tiengo, “Discreta fuori,
accogliente dentro”. Purtroppo, quello che non fecero le guerre
franco-austriache, lo fece la seconda guerra mondiale, le cui bombe
semidistrussero nel ’44 Palazzo Spinola, ricostruito a spese dei soci, more
mediolanensi , in pochi anni, con il sacrificio della vendita di un pezzo di
giardino.
Parla ora il presidente Tiengo per
invitare “il Giardini” a una sorta di alleanza culturale con “la Giardino”,
mentre Coluccia, interpretando quello che si legge negli occhi e nella mente
delle Signore presenti, non ottiene, garbatamente, alcuna garanzia che in
futuro le donne (se non vedove di soci) possano essere ammesse optimo iure alla
Società del Giardino. Faraone, che presiede la serata per delega di Paolo
Favole, interroga la signora Tiengo (che, però, mantiene il motto: “discreta
fuori”) sul suo interesse per il “cosiddetto” mausoleo alla figlia di Teodosio
I, Galla Placidia (la sua tesi di laurea) e sulla genesi della sua passione per
l’arte italiana (si sa solo che il primo amore di Stella fu il Bernini). E
Franchini ringrazia a nome di tutti.
Nicola D’Amico |