GITA  A  VENEZIA

dal 15 al 16 Ottobre 2005

 

Ci sono personaggi esterni al club che hanno la magia di rimanere nel ricordo del club per gli anni a venire. L’Ammiraglio Paolo Pagnottella, già nostro relatore nell’ultima conviviale di luglio prima delle vacanze estive, è certamente uno di questi. Una persona che ti sembra aver sempre  conosciuto, spontanea, con  la quale ti trovi subito a tuo agio. E ti colpisce, perché la sua cultura, il suo fascino, hanno la naturalezza dell’uomo che del suo mestiere ha fatto la passione della sua vita. Un mestiere, quello del soldato, che non fa più parte, o quanto meno non più come in passato, dei nostri schemi, dei nostri esempi, dei nostri stereotipi.

 

Il primo appuntamento a Venezia è al Circolo Sottoufficiali, per la colazione in attesa di rimontare, pardon, risalpare sul lancione che ci porterà all’Isola di San Lazzaro per il primo appuntamento culturale del nostro viaggio. E al Circolo ci aspetta Pagnottella, accompagnato dal collega Alessandro Ronconi, anch’egli ufficiale di Marina. Di che pasta è l’Ammiraglio lo verifichiamo subito, anche se già lo sapevamo, per la precedente esperienza al Giardini.

 

“Care signore e cari signori, consentitemi una curiosa  osservazione sul luogo in cui ci troviamo – esordisce il Nostro –  questo Circolo Sottoufficiali della Marina Militare che per primo vi ospita in questo vostro pur breve soggiorno veneziano. Qui ci troviamo nei locali che nel tempo passato con ogni probabilità anzi con quasi assoluta certezza   si trovavano i forni della Repubblica, dove venivano preparati con formule andate perdute i pani che, rimanendo commestibili per lungo tempo, anni persino!, consentivano alle galere veneziane di percorrere lunghe distanze senza aver bisogno di approdi per sfamare gli equipaggi.”

 

Un paio di minuti a Gianpiero per un primo ringraziamento al nostro anfitrione - ma quanti ce ne saranno prima di rimontare sull’Eurostar per il ritorno a casa! – e poi via di nuovo sul lancione per approdare all’Isola di San Lazzaro degli Armeni. Qui un monaco armeno in fuga, Manug di Pietro, in armeno Mechitar il Consolatore, fondò una congregazione attorno alla quale si raccolsero molti tra quanti dovettero come lui sfuggire alle varie persecuzioni turche. Ci accolgono due padri, Padre Gregorio e Padre Vertanés. Un italiano corretto ma con forte accento straniero, indecifrabile, come la loro lingua. Tutto nel convento, meraviglioso, sa di mistero, a principiare dalle scritte in un alfabeto sconosciuto e originale. Per un’ora viviamo fuori dal mondo e fuori dal tempo. Al termine Padre Vertanés ci comunica che fra un mese andrà in Georgia, quella parte della Georgia popolata da Armeni, per raccontare il vangelo ai suoi correligionari  e ci riporta alla realtà di oggi.

 

Quindi via di nuovo con il lancione, ma per una tratta davvero breve. Arriviamo all’Isola di San Servolo, per oltre un millennio sede di un monastero, quindi di una casa di cura per malati di mente, oggi sede di un centro universitario internazionale e in parte della Biennale. 

 

Il tempo di un breve relax in albergo, nell’Isola di Sant’Elena, un angolo di una Venezia del tutto sconosciuta e fuori dal giro turistico e via di nuovo verso il centro. Questa volta ci fermiamo al Circolo Ufficiali, una palazzina neoclassica  a lato dell’Arsenale. Per una serata eccezionale: per il luogo, per la musica,  per la megatorta finale, per le nostre signore in gran spolvero, per il calore e l’accoglienza riservataci, per la simpatia degli anfitrioni. Al termine un’autentica festa, con scambi di fiori, regali ed omaggi, nella più squisita tradizione rotariana.

 

“Questo viaggio ha origini lontane – recita Gianpiero – se pensiamo all’amico che ne ha avuto l’idea, Luigi Luce, allievo dell’Istituto Morosini, insieme ad Attilli, come l’Ammiraglio Pagnottella e origini più recenti, se pensiamo alla recente relazione, in luglio,  dello stesso Ammiraglio al Giardini. E’ infatti in quell’occasione che il club ha pensato di organizzare questo viaggio, un viaggio di sicuro successo”. Seguono i ringraziamenti di rito, agli anfitrioni, alle loro consorti e a Luigi Luce, infaticabile, perfetto organizzatore. Con la megatorta (che riproduce l’entrata dell’Arsenale, con le due storiche torri) anche i presenti ricevono un graditissimo omaggio: un’osella , cioè – spiega Luigi – una moneta di vetro con decorazioni che ricordano uno specifico evento, come appunto la visita all’Arsenale di Venezia prevista per il giorno seguente.

 

La domenica per la Santa Messa ci rechiamo a piedi, l’aria pura, lo spettacolo di Venezia sullo sfondo, il mare che luccica più che a Sorrento, la nebbiolina sottile che si alza a poco a poco, alla Chiesetta di San Biagio, un tempio della Marina Militare a due passi dal Circolo Ufficiali e dall’Arsenale. Officia un sacerdote vicino alla Marina, molto noto a Venezia, già Segretario di Albino Luciani papa Giovanni Paolo I. Al termine Paolo Pagnottella, onnipresente, recita con commozione la preghiera del marinaio, alle sue spalle la bandiera della Marina Militare e quella della Repubblica di Venezia.

 

Al termine solo due passi ci separano dall’Arsenale, per quella che si rivelerà l’esperienza più significativa del viaggio. Perché questo nostro peregrinare per Venezia segna un percorso assolutamente nuovo, inaspettato, sconosciuto e per questo affascinante. Pagnottella s’improvvisa magnifica guida, con tanto di microfono portatile,  racconta della storia dell’Arsenale, dei leoni di pietra e di marmo che fanno da guardia all’entrata,  dei bottini di guerra della Repubblica a spese di greci, turchi e quant’altri vi si opponessero. Poi, sotto l’occhio vigile di carabinieri e marinai entriamo là dove agli altri non è concesso: l’Arsenale vero e proprio, un’ immensa area pari a un decimo dell’intera Venezia, cuore militare e civile della Repubblica.

 

“La prima catena di montaggio fu realizzata dai veneziani! – esclama l’Ammiraglio – pensate all’organizzazione con la quale i nostri antenati, dal 1100 in poi, divennero gli assoluti leaders della cantieristica dell’epoca. Costruivano navi perfette ben prima degli inglesi, dei francesi, di tutti i futuri dominatori dei mari e conquistatori del mondo. Una macchina ben congegnata e programmata nei minimi particolari, sin dalla cura degli alberi di rovere del Bellunese”.

 

Pagnottella non è una guida, non è un professore, è un vulcano di parole appassionato di storia e di arti marinare, la sua non è una lezione, è un atto d’amore per la Repubblica e il suo Arsenale, coacervo di arte, logistica, tecnica ed organizzazione. Al termine ci infiliamo uno ad uno nelle viscere del l’Enrico Dandolo,  glorioso sottomarino di concezione, progettazione e realizzazione totalmente italiane, andato in pensione pochi anni fa dopo trent’anni di onesto e onorato servizio .

 

Torniamo quindi al Circolo Sottoufficiali per la colazione d’addio, anzi d’arrivederci. Altre parole commosse di commiato e di ringraziamenti, rattristate dal minuto di silenzio chiesto da Gianpiero per ricordare l’amico Lucio che ci ha lasciato ieri  notte. Un saluto all’amico Comandante Patrese del R.C.Venezia, con tanto di scambio di guidoncini e poi via di nuovo sul lancione per l’ultima visita del viaggio, all’Istituto Morosini, pardon alla Scuola Navale Francesco Morosini, dove,  accolti dal Comandante e i suoi più stretti collaboratori abbiamo modo di ammirare le meraviglie di un college all’americana  (ma è stato realizzato negli anni ’40!) inimmaginabile in una realtà italiana.

 

Un po’ stanchi ma non distrutti riprendiamo per un’ultima volta il lancione, cui le autorità hanno dato il permesso (“Eccezionale, è stata l’impresa più difficile di tutte!” – esclama Luigi) di  percorrere il Canal Grande in direzione Santa Lucia. Così che la Serenissima ci riappare in tutto il suo splendore, passato ma anche presente. Ma questo è uno spettacolo già visto. A noi rimarranno piuttosto in mente le immagini di una Venezia sconosciuta ai più,  le isole di San Lazzaro e di San Servolo, la stessa Sant’Elena, San Biagio, il Morosini e l’Arsenale. Grazie ai nostri magnifici ammiragli per avercele fatte conoscere e vivere. Perché, si sa, Venezia come le belle donne non si ammira soltanto, la si gusta, la si vive e la si condivide. Non solo immagini ma piuttosto sensazioni.

 

 Attilio Bradamante