Cronaca della conviviale n. 13 del 14 gennaio 2013

Tema: "L’Italia ha ancora bisogno di un’industria manifatturiera?

Relatore: Prof. Armando Brandolese

 

Un illustre personaggio di nobile stirpe e di chiara fama fu tacciato anni or sono del vituperato titolo di “Traduttor dei traduttor d’Omero” quando si cimentò (e si lodò) per la traduzione e pubblicazione in lingua italiana dell’Iliade omerica.  Stesso rischio potrebbe adesso correre il sottoscritto se si accingesse a parafrasare quanto il ns. dotto cattedratico Armando ha esposto nella serata rotariana che ci ha visto numerosi pendere dalle sue labbra per circa 30’.

Poche volte è avvenuto nel ns. Club che un ponderoso tomo, quale quello edito dal ns. Professore, sia stato brillantemente (e senza che ad alcuno calasse la palpebra) esposto in una sintetica presentazione, condensata nei tempi canonici in genere poco rispettati.

Senza, quindi, aggiungere verbo a verbo, mi tocca nel seguito riportare, quasi “in claris”, quanto presentatoci su schermo, con accoppiato commento dell’autore, sul tema:

“L’Italia ha ancora bisogno di un’industria manifatturiera?”

La tesi – che l’Autore spera sia condivisibile da parte dell’auditorio – è che l’Italia, anche nei decenni futuri, non possa fare a meno di avere un settore di industrie manifatturiere ampio e competitivo, settore che per tutta la seconda metà del XX secolo ha rappresentato una delle più potenti spinte allo sviluppo del nostro Paese.

Purtroppo molti segnali attestano un significativo declino del settore manifatturiero in Italia, con la conseguente perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. È pacifico che l’evoluzione delle tecnologie, in particolare la diffusione dell’automazione, porti alla riduzione dell’incidenza delle mansioni più specificamente ‘manuali’ nei processi produttivi. Ma ormai da alcuni anni l’elemento più evidente è la delocalizzazione (offshoring).

Perché le unità produttive ubicate in Italia stanno gradualmente riducendo la loro competitività?

 “In Italia si investe poco e male in ricerca, con conseguenti effetti negativi sull’innovazione.”

Eppure la capacità innovativa di molte Aziende italiane non è inferiore a quella delle migliori Aziende mondiali! Occorre quindi distinguere tra ‘Aziende’ e ‘unità produttive’, posto che anche le Aziende straniere ‘innovative’ investono poco o nulla in Italia.

Sergio Rizzo, Corriere della Sera 1.4.2012, ci elenca, al di là del costo del lavoro, le negatività nazionali sullo sviluppo della ns. industria:

  • burocrazia

  • incertezza del diritto e lentezza della giustizia

  • lentezza nei pagamenti della P.A.

  • corruzione

  • poche autostrade

  • internet lento

Giuseppe Recchi, Corriere della Sera 11.4.2012, ancora aggiunge che la riforma del mercato del lavoro è una priorità, ma non la sola. Occorre pesantemente agire su:

  • fisco

  • giustizia

  • istruzione

E’ opinione del relatore che una delle principali cause della perdita di competitività delle unità produttive manifatturiere in Italia (anche in rapporto agli altri Paesi industrializzati) sia il complesso delle attuali relazioni industriali, la cui rigidità grava pesantemente sul mercato del lavoro e rappresenta un forte elemento di dissuasione per i futuri investimenti da parte delle Aziende italiane e straniere.

Un punto di vista ‘contrario’ in merito alla flessibilità del lavoro è di Luciano Gallino, da ‘Il lavoro non è una merce’, ed. Laterza 2007, cap. 2:

“Di là dagli argomenti di solito addotti in nome della necessità di «modernizzare l'economia», la richiesta da parte delle imprese di aumentare la flessibilità del lavoro persegue principalmente lo scopo di ridurne il costo diretto e indiretto, adeguandolo il più strettamente possibile all'andamento della produzione e/o delle vendite, al fine di poter reggere alla competizione internazionale …

Questa analisi di Gallino non coglie i veri motivi che suggeriscono l’adozione delle metodologie JIT (Just In Time) di lavorazione, che hanno permesso di ridurre drasticamente gli stoccaggi, con cospicui risparmi di risorse in termini di uomini e mezzi. Inoltre, il miglioramento continuo della ‘qualità in produzione’ (o conformità – una delle variabili competitive più importanti) si è avuto con Supply Chains brevi e consolidate.

Le vicende relative all’articolo 18 (fino all’approvazione della legge Fornero e oltre) sono un esempio emblematico per quanto riguarda la flessibilità del lavoro.

Sull’argomento il New York Times, 30.11.2011, rimarca:

“…One reason why firms are so reluctant to hire workers on regular contracts is because once they have done so it is almost impossible to fire them. ‘We have to get away from a dual labour market where some are too protected while others are totally without protection or insurance in the case of unemployment’ Monti said in his maiden speech to Italian Parliament…”

Ma sono possibili ‘contromosse’ al declino della ns. industria ? Ci sono segnali di ripresa? Tutto è possibile nell’ipotesi di:

  • valorizzare i marchi e puntare sull’innovazione di prodotto [CdS, 18.12.2003]

  • impegno e spirito imprenditoriale, iniziative coordinate, supporto pubblico

  • investire direttamente  in Cina / India / Romania …

  • conquistare i mercati dei Paesi in rapido sviluppo, adattando i prodotti ai gusti locali

  • evitare azioni protezionistiche a vantaggio delle aziende meno competitive.

Ma come migliorare la produttività del lavoro?

L’innovazione gestionale può fornire un importante contributo a livello delle singole Aziende manifatturiere.

Corriere della Sera, 15.3.2011:

“Quello che manca ai polacchi, ai turchi, ai cinesi sono i Piccoli della filiera degli elettrodomestici, fornitori nordestini, brianzoli o marchigiani abituati a servire l'azienda madre con tempi e qualità giusti e che hanno già pagato dazio alla Grande Crisi con amputazioni e chiusure…sono più di 800 le Pmi dell'indotto e valgono un fatturato di circa 7 miliardi di euro…”

Corriere della Sera, 11.4.2012:

“Competenza, impegno. Capacità di produrre articoli caratterizzati da una qualità migliore ed a prezzi più bassi dei loro concorrenti asiatici. Sono gli assi nella manica dei fornitori italiani di Ikea, che annuncia di aver spostato tre produzioni dall’Asia al ns. Paese …..”

E’ di domenica 11.11.2012 l’articolo del Corriere della Sera: ‘Ora la Foxconn delocalizza negli Stati Uniti’

La conclusione della relazione ci è data dal titolo del Corriere della Sera del 29.12.2012:

Se la ripresa parte dalle acquisizioni’ (con riferimento – fra gli altri – ai casi Avio e Marazzi) cerchiamo di favorire i ‘ritorni sulla via della seta’!

Il Relatore, in armonia con i tempi canonici rotariani, conclude, quindi, ringraziando per l’attenzione e (ligio ai canoni di Monsignor Delle Casa) scusandosi per aver approfittato della nostra pazienza!

Beh, caro Armando! Siamo noi, invece, che dobbiamo ringraziarti per quanto abbiamo appreso di avere in casa di prezioso e che stentiamo a valorizzare e sfruttare.

Poiché abbiamo ancora 30’ prima che il ns. inflessibile Presidente dia tocco alla campana, sono diversi gli interventi dell’auditorio. Alcune domande sono rivolte ad Armando sulla base di risposte da sfera di cristallo (ed il Professore non vuol vestire il mantello di Merlino), alcune sono delle interrogative retoriche a conferma di quanto ci ha esposto (e lo fanno gongolare), quella del Prof. Seminara dell’Università Ferdinandea di Napoli (ospite gradito) addebitano anche alla presenza di un sistema politico instabile la debolezza della ns. industria, mentre Amigoni rimarca le colpe dell’imprenditoria in questo processo di recessione.

Il sottoscritto, che non ha cantato come il “gallo silvestre” con una sua domanda, aggiunge qui una personale considerazione:

Il sistema bancario nostrano, avaro al peggio di Arpagon,  castra da sempre sul nascere il miglior spirito creativo nazionale, costringendo i giovani talenti (allievi anche del ns. Armando) a cercare altri lidi per la concretizzazione industriale delle proprie idee, inventiva ed iniziative.

Poiché Kronos ha scandito con il suo batter del tempo le 22.31 ed  già iniziata la fuga per la via d’uscita (non quella della seta) di alcuni “piè veloci”, il Presidente non esita a martellare la campana con il suo solito garbo.

 Aldo Nicolosi