Cronaca della conviviale n. 26 del 2 aprile 2012

Tema: A tu per tu con il Club Rotary Milano Giardini”

Relatore: prof. Roberto Gervaso

 

“Colpiti da un raggio di sole ed è subito sera”. Con questa licenza poetica il ns. Lomazzi conclude poeticamente dall’auditorio il “viso a viso con Gervaso”, maestro (“non solo per essere giornalista”, D’Amico dixit) nell’arte della dissertazione. I quasimodiani versi pitturano al meglio i contenuti delle risposte di Roberto Gervaso alle precise domande che gli sono state poste. Sempre diretto, tagliente a lama di coltello con le sue espressioni, la sua è stata una cruda disanima dell’intera classe politica, “gratificata” più volte come “cialtrona, ignorante, inetta, ladra e trasformista (c’è tutto: è la Casta!), composta da parassiti che da diversi lustri hanno sempre operato facendo “male nel bene ed il proprio bene nel male”.

Co-autore con Montanelli di alcuni volumi della Storia d’Italia, tra i quali L’Italia dei Secoli Bui e L’Italia dei Secoli D’Oro, nel suo “a tu per tu “ con l’auditorio risponde ad una serie concatenata e susseguente di domande poste da Renato Coluccia, suo Virgilio nel ns. Club. Renato sapientemente pone in successione tre temi ed invita il relatore ad esporre il suo laicissimo pensiero sulle vicissitudini del ns. Stivale (scogliacci isolani compresi). Questi, accennando appena ai fasti della Roma Imperiale, ai lustri dell’aureo Rinascimento, al susseguirsi delle trasformazioni del quadro politico europeo nel post-controriforma, con il perpetrarsi delle monarchie costituzionali ed il crollo delle assolutistiche soppiantate dalle odierne istituzioni repubblicane, riserva tutta la sua schiettezza ed ironia su quanto viviamo nei ns. giorni.

Riprendendo lo stile che gli è proprio nell’Italia dei Secoli Bui, il Gervaso non si risparmia nel darci uno spaccato dell’italica “Pupulazione” (così ci appella il saggio Abatantuomo).  Temporibus illis eravamo, con un dolce eufemismo, dei “clientes”, da Romolo Augustolo in poi (più crudamente) dei servi, seppure con il vanto di aver espresso una grande civiltà, esportandola aldilà   delle Alpi e Piramidi, di Manzanarre e Reno. Purtroppo, dopo la discesa delle orde barbariche abbiamo sempre perpetrato una vocazione servile di Nazione senza Stato, boicottata nei suoi conati di divenire stato da quell’anti-stato che è la Chiesa. Così l’Italia è rimasta sempre quell’espressione geografica del Metternich. Cos’hanno in comune Comiso e Brunico? Sulla carta neanche i campi d’accoglienza dei poveri aspiranti Vu Cumprà, che i siciliani (avvezzi a mazzate secolari) subiscono e gli austro-ungarici, fieri discendenti di Maria Teresa, continuano fortemente e sdegnosamente a rifiutare. Machiavelli invocava l’Italia ed un principe che, unitala, la governasse con illuminata saggezza. Ma già i Piagnoni del Savonarola si opponevano, vocando tutti al pauperismo ed alla penitenza, sempre sotto il sicuro manto della Chiesa. Da allora fino ai ns. giorni siamo diventati professionisti nell’arte d’arrangiarsi, affermandoci come vero paese guicciardiniano. Abbiamo avuto il Rinascimento, la Riforma, la Controriforma, ma non l’Illuminismo con i suoi tre principi: Liberté, Egalité, Fraternité (che, nostra sponte, tentiamo di perpetrare come Rotariani). Nel 1960 siamo stati premiati dalla Comunità Europea con l’Oscar della Lira, adesso ci stanno proponendo per quello dello Spread! Siamo il popolo che dalla fine dell’Impero romano non ha mai finito una guerra con l’alleato con il quale l’ha iniziata. Unico vanto è l’essere sempre una grande civiltà espressa da grandi personaggi (Alighieri, Leonardo, Michelangelo, … , per alcuni il Cavaliere …. ), ma (ahimè!) non un popolo.

Invitato a nozze dalle domande di Renato, Gervaso affonda ancora la sua lama come nel burro. Afferma  che la ns. non è una democrazia laica, ove si crede in un Dio laico. Ci si rivolge, piuttosto, al Santo locale (S. Gennaro, Santa Aituzza, Santa Rosalia, poco S. Ambrogio) che deve pensare soltanto al questuante e solo a lui. Lutero aveva aperto un dialogo diretto tra Dio e l’uomo, ma la Chiesa lo ha condannato, monopolizzando da sempre il rapporto tra questi. Egemonizzata da essa, l’Italia sta ancora in piedi perché non sa da che parte cadere. Cavour riuscì a spingere meno di 20.000 laici, élite illuminata del tempo, per unire un popolo al 98% analfabeta e non interessato ad alcuna unione: la questua ed il pellegrinaggio a Roma ingozzavano i sudditi del Papa Re, mentre altrove ci s’accontentava anche di meno, ma si viveva soddisfatti del “Franza o Spagna purché se magna!”. Dall’unità d’Italia fino al dopoguerra una classe politica laica ha tentato di costruire uno stato moderno, avendo De Gasperi agli inizi chiamato al Governo i laici perché servissero lo Stato e non la Chiesa. Nella sua evoluzione e perpetrazione, però, questa classe politica, divenuta Casta, si è specializzata nel trasformismo per la sua continua affermazione e crescita di privilegi.

Come ultima domanda Renato chiede cosa ci rimanga. Qui il Gervaso dà il meglio di sé nell’affermare i meriti del Bel Paese e nell’esecrare la classe politica: dopo 150 anni di continuo ed ininterrotto trasformismo l’Italia rimane sempre un grande paese, ma con gli italiani che nutrono la speranza che “a da passà a nuttata”. Per il momento questa è vana speme, essendo il paese preda di una Casta fatta da irresponsabili ed incapaci. Se ci fosse un grande cimitero loro dedicato, su ogni lapide sarebbe scolpito l’epitaffio: ”Qui giace il politico …. ; fece male nel bene e fece bene il male”.

E’, infine, impietoso nell’affermare che la crisi attuale cambierà sì la ns. vita, ma servirà a spazzare questa Casta ignorante, volgare, arrogante e compromissoria. A tal punto, in forza di un obbligato rinnovamento, l’Italia cambierà in meglio o crollerà. Napoletano ha chiamato Monti per assolvere tal compito, come Machiavelli sperò nel Valentino.

In conclusione, Gervaso ci ha parlato con la stessa schiettezza con la quale il suo più anziano germano Montanelli affermava d’esprimersi trovando nel comporre il proprio meglio quando stava appartato ed assiso sul “trono” (“la spregiabil creta” di alfierana memoria). Ci parafrasa, poi, la sua prolusione ricordandoci che il suo verbo è lucreziano (“ludens verbum dico”): non c’è umorismo senza ironia e non c’è ironia senza autoironia. Purtroppo l’umorismo è una dote innata: è inglese, come la comicità è italica e l’esprit francese. Se chi non ride mai è un “buffone”, l’arte di sorridere (ahimè) è un dono che gli italiani non hanno. Da noi l’ironia è stata uccisa dall’ideologia e l’ideologo manda i suoi contrari alla ghigliottina!

Al termine del suo “A tu per tu con il Club Giardini”, soltanto una Paul Harris poteva premiare Roberto Gervaso per averci parlato con tanta schietta ironia, facendoci passare dal ricordo di fasti lontani alla mesta realtà dell’attuale spread.

Grazie Gervaso! 

Aldo Nicolosi