Cronaca della conviviale n. 17 del 24 gennaio 2011

 

Tema: Una serata per parlare di lirica

Relatore: Dott. Vieri Poggiali

 

Essendo un popolo canoro, estasiato dai gorgheggi delle ugole d’oro che hanno fatto vibrare le volte dei maggiori teatri del mondo, la sala è piena di soci e gentili consorti anelanti di ascoltare l’intervento del dott. Vieri Poggiali nella serata dedicata al parlare di lirica. A fine cena, ore 21.15, c’è un notevole brusio nella sala. Nella trepidante attesa della prolusione del ns. ospite, si percepisce un marcato desiderio di caffè (Nespresso, che altro!) e si occhieggia da parte di tanti al tavolo presidenziale, ove fa bella mostra (anche senza divisa e mostrine) il ns. socio onorario Paolo Pagnottella. Alle 21.30, finalmente, Gianpiero Sironi introduce il relatore, che cattura subito la simpatia degli astanti grazie alla sua affermazione d’essere non un musicologo, ma un musicomane ed un melomane un po’ matto. Tale premessa ci assicura che nessuno abbandonerà la sala anzitempo e che non ci sarà l’effetto catartico del “mi cala la palpebra!”.

L’oratore porge subito le sue credenziali: “Cresciuto in una famiglia di musicofili, mi sono appassionato sin da giovanissimo soprattutto alla musica lirica. Pluriabbonato alla Scala, ove ero già assiduo frequentatore a 18 anni nel 1942 sotto lo scroscio delle bombe, pluriabbonato inoltre anche a Roma e a Venezia, frequento abitualmente molti importanti  teatri d'opera in Italia e nel mondo”.

L’intervento è una testimonianza dell’amore che il Dott. Poggiali nutre per il melodramma e la lirica. Scanzonatamente egli apre con l’affermazione di Bernard Shaw: “L’opera non è uno spettacolo dove il Tenore tenta ripetutamente di portarsi  a letto il Soprano, osteggiato in ciò dal Baritono e dal Contralto!” e continua descrivendo la lirica ed il canto quale le più alte espressioni dei sentimenti dell’animo umano. Tipica interpretazione del movimento romantico del XIX secolo, definisce il melodramma una nobile espressione d’arte che esalta il conflitto delle passioni, in un binomio esistenziale tra amore e morte. Purtroppo, espresso ai massimi livelli dal Verdi  - epigrammato dal Vate (il Gaetano Rapagnetta volgarmente a noi noto come D’Annunzio) con i pochi motti: ”Pianse ed amò per tutti” - ,  dai suoi massimi livelli è devoluta ai nostri gironi in una mescolanza di suoni strumentali, costruiti a tavolino ed assiemati asetticamente a computer. Questa nobile forma d’arte, che ancora è in auge all’estero, ove costituisce anche elemento nazionale distinguente a ricordo di passate glorie (Austria, Germania, Russia), da noi è in inesorabile declino, confinata essenzialmente in pochi teatri nazionali frequentati assiduamente dai soliti incalliti nostalgici.

Perché tale forma d’arte, che ha fortemente contribuito all’unità del ns. paese da “pura espressione geografica” a nazione, è in marcato abbandono? Una prima risposta dell’oratore è che la globalizzazione ci ha travolto: abbiamo esportato le ns. migliori ugole ed importato, agli estremi, musica metallica e strumentale a 90 decibel che, accompagnata ai balzelloni dei cantanti su mediatici e cimmerei palchi aperti ad oceaniche platee, ottunde i sensi della scalmanata audience. E’ poi la disattenzione ed il disinteresse della classe politica che compartecipa alle cause di depauperamento di tale patrimonio nazionale!

Proprio nell’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia ci si dimentica che l’opera è stata un’importante unificazione linguistica del paese, facendoci tutti cantare nello stesso modo a prescindere dai pluridialetti regionali. Esaltati dalle opere dei grandi musicisti, quali Verdi, siamo stati spronati, con i Vespri Siciliani ed i Lombardi alla Crociata, nei ns. sentimenti di rivolta contro l’oppressore. Il Cigno di Busseto, con le sue immemorabili opere, ci ha anche rimarcato i soprusi dei potenti sugli umili  (il Trovatore) e gli aneliti di unificazione di un popolo diviso con il Nabucco - il cui coro, erroneamente riferito dal Senatùr all’opera “I Lombardi alla Crociata”, è stato eletto ad inno della Padania - .

In Europa, anche al di là della ns. terra, l’opera è stata bandiera di tanti eventi e movimenti di popolo: la ”La muette di Portici” per la rivoluzione belga del 1930, la Tetralogia “L'anello del Nibelungo” con “La Valchiria” del grande Wagner per rinfocolare i sentimenti antisemiti ed anticattolici del pangermanesimo hitleriano.

Però, tutto questo per noi, succubi di una politica che assegna ai consigli d’amministrazione dei vari teatri suoi accoliti  atti essenzialmente a riscuotere prebende col solo scaldar di poltrona, è un passato remoto. La carente istruzione musicale nelle Scuole di Stato, la contrazione degli stanziamenti pubblici (che ha causato la riduzione delle grandi orchestre da quattro a due), la perdita di memoria di grandi protagonisti del canto (Corelli, Simionato, Di Stefano) scomparsi nel più totale disinteresse, la riduzione dei grandi eventi musicali nazionali, la totale disattenzione della TV nella proposizione di concerti ed opere, il volgare degrado della riambientazione delle opere ai ns. giorni a fronte della massima “amori e corna sono sempre attuali!”, il tutto sta comportando l’impoverimento graduale e continuo della lirica e del melodramma nel ns. paese.

Purtroppo, come sottolinea l’oratore, la lirica ed il melodramma costano e lo spettacolo comporta un forte investimento. Come esempio ricorda che i contributi pubblici del 2009 alla Scala, pari a 37 milioni di euro, non sono neanche riusciti a conguagliare quanto speso dalla stessa in tasse per lo stesso anno.

In tale opaco scenario, è possibile il rilancio dell’atavica arte?  La sua continuità nel futuro forse si potrà avere con la riproducibilità nei “media”, con strumenti che possano avvicinare al pubblico le rappresentazioni, con una maggiore assegnazione di fondi pubblici, con una generosa attenzione da parte delle Fondazioni bancarie.

Rivolgendosi, quindi, alla classe politica, il relatore conclude il suo intervento con Nietzsche: ”Lasciar crescere i mali che si possono bloccare è il peggior delitto”.

Alcuni interventi di Leone, Nicolosi, Sartorio e Gambel, richiesto a viva voce dal Loggione, seguono a ruota. Conclude il ns. Vafidis che, con i timpani usi essenzialmente agli “scazonti ipponattei” di classica memoria del suo paese, appalesa il suo amore verso la ns. opera dichiarando di esservi stato introdotto nell’Arena di Verona, ai tempi della sua laurea, da quella che sarebbe stata la donna della sua vita.  

In conclusione, ri-parafrasando una famosa aria del Barbiere Rossiniano, possiamo tutti in coro cantare: “ OH CHE BEL VIVERE, CHE BEL PIACERE … LO STARE INSIEME … AL GIARDINI CLUB! ”.

Aldo Nicolosi