Cronaca della conviviale n. 26 del 24 maggio 2010

Tema: La missione ad Haiti della Portaerei Cavour: White Crane 2010

Relatore: Capitano di Vascello Gianluigi Reversi, Comandante di tutto il contingente italiano

 

Senza voler apparire irriverente nei confronti di uno dei capitoli più tragici della nostra storia militare, una parafrasi che ben riassume l’operato e lo spirito della missione ad Haiti della Cavour potrebbe essere: dalle 100.000 gavette di ghiaccio ai 100 mila pasti, tende e cure mediche, trasporti, eliminazione di macerie ecc, ecc,ecc ecc.

Quanto sia cambiato – specialmente negli ultimi anni – l’approccio operativo e, soprattutto, lo spirito e la cultura delle nostre forze armate è molto ben rappresentato dalla figura del Comandante Gianluigi Reversi. Dal tradizionale taglio militare di un’uniforme con tanto di nastrini e decorazioni di numerose campagne e di svariati ordini guerreschi, il nostro comandante ha fatto ampiamente emergere tutto il sano compiacimento e il giusto orgoglio di un uomo che ha saputo mettere al servizio della pace e della ricostruzione umanitaria sia la sua grande esperienza che l’importante dispiego di mezzi tecnici che aveva a sua disposizione.  

Numeri sicuramente impressionanti e fotografie di grande effetto quelli presentati dal nostro CV per descrivere con veristico realismo quanto fatto dalla missione italiana a Haiti in occasione del terremoto.  

Come giustamente sottolineato, il contributo più rilevante oltre all’approntamento dei mezzi e delle infrastrutture necessarie per la conduzione degli aiuti, è stato la grande capacità di coordinamento espressa dalla nave Cavour.

Quest’ultima è stata, infatti, eletta sede del comando della missione in una situazione di forte “trasversalità” tra le diverse forze armate che componevano il complesso “fronte militare” alle sue dipendenze. Ma oltre a questo ruolo di coordinamento interforze, l’aspetto che ha avuto giusta risonanza sulla stampa (e anche qualche conseguente coda polemica data la non sempre ben accettata superiorità espressa dal nostro contingente), è stato proprio la necessità di integrare efficacemente l’operatività dei militari con la nostra protezione civile, oltre che con le missioni degli altri paesi che hanno partecipato a questa grande operazione di ricostruzione.  

Un altro ruolo assolutamente decisivo è stato poi quello svolto dalle numerose ONG presenti sul territorio (tra cui l’ampiamente ricordata Fondazione Rava) e dalle istituzioni religiose che si sono prodigate come interfaccia qualificata nei confronti di una popolazione moralmente distrutta e completamente disorientata.  

Non è un caso che anche la signora Ashton, alto rappresentante per la Politica Estera dell'Ue, abbia ufficialmente elogiato l’efficienza e la professionalità dei nostri “cavouriani”.  Si sa che la blasonata Cathy non passa certo per essere una prodiga dispensatrice di lodi ma il fascino latino della Cavour, coniugato con l’evidenza dei risultati raggiunti deve averla effettivamente colpita.  

Altro che “si vis pacem para bellum” oppure, l’antitetico “mettete dei fiori nei cannoni”, qui nei cannoni della Cavour sono stati messi tecnologia di pace e capacità organizzative e il bombardamento a tappeto ha completamente annientato tanti luoghi comuni sulle nostre forze armate.

Certo che è difficile spiegarsi come mai un popolo come il nostro che, soprattutto in patria, non passa certo per essere un esempio di senso civico, buon governo, capacità organizzativa e oculata gestione delle risorse pubbliche, sia poi capace di esprimere, alla bisogna, attraverso la sua struttura militare, delle capacità assolutamente inaspettate, superando di slancio in questa nobile gara altri paesi dalle tradizioni civiche e civili apparentemente molto più solide delle nostre. 

Ed è anche difficile spiegarsi come questo grande bagaglio di “capacità civile” espresso dal nostro apparato militare trovi le sponde più sicure e rispondenti nell’altrettanta ben condotta capacità civile espressa dalle istituzioni religiose. Militari di pace e religiosi civili, ossimori tipici della nostra società che però nulla tolgono al valore della dedizione e della professionalità dimostrate dai nostri operatori e ai quali vanno tutta la nostra gratitudine e considerazione.  

Forse ci sarebbe da augurarsi una crescente presenza di un nuovo e virtuoso “terzo stato” nelle istituzioni preposte alla conduzione di progetti di grande respiro civile e delle emergenze, ma questa è tutta un’altra storia.  

Marco Tincati