Cronaca della conviviale del 16 giugno 2008

 

Tema: "Sono utili le riforme scolastiche?"

Relatrice: Prof.ssa Luisa Ribolzi

 

Luisa Ribolzi (nessuno direbbe “il professor…” di uno scienziato, ma si limiterebbe a citarne il nome) parla da scienziato dell’educazione.

Insegna Sociologia dell’ Educazione, è consulente dell’ OCSE e ha parlato, lunedì 16 ai soci del Giardini, con il distacco del clinico che esamina un malato per guarirlo e non con l’ansia dei parenti che gli stanno al capezzale e che spesso sono la causa del suo malanno (l’allusione agli addetti ai lavori – politici, insegnanti – è puramente casuale…).

Nel corso del preambolo si fanno le cifre della malattia (costi spropositati – oltre seimila euro di spesa media pubblica annua per alunno, per ottenere pagelle ingiuriose, ma alquanto vere, nelle classifiche internazionali sulla qualità dell’istruzione).

La conclusione sarebbe ovvia: occorre riformare radicalmente il sistema.

Perché, allora, la incoming Ministro dell’Istruzione  sembra frenare sulle riforme? Domanda da miliardi cui deve dare una risposta Luisa Ribolzi,  che non entra nel merito se e perché le riforme scolastiche in Italia segnano il passa del gambero. Entrare nel merito qui significherebbe avviare una diagnosi storico-politica, che, individuando le cause, tuttavia non porterebbe ai rimedi, ma solo a recriminazioni sterili.

La prima puntualizzazione che fa Luisa Ribolzi è importante: le statistiche OCSE in generale, PISA in particolare, come quelle del supplemento scuola del Times o dell’Università di Shanghai, fanno di tutti i cavoli un mazzo, partono – cioè – dal principio che l’Italia sia veramente UNA, come – con una buona dose di leggerezza – fu proclamata nel 1861. Le Italie sono quasi certamente una ventina, con sicurezza sono almeno tre.

Le statistiche internazionali sommano dati che non sunt eiusdem generis.

Si va dalla eccellenza della Lombardia, di Trento e di Bolzano al disastro di regioni delle quali non facciamo il nome per carità di patria. Senza contare che Pierino delle elementari è bravino, meno suo fratello che frequenta la scuola media. Morale: male più bene non fa mezzo/male o mezzo/bene, ma solo un errore: statistico, sociologico, pedagogico, politico.

Questo non ci autorizza, però, a pigliarcela con le statistiche e ad andare a letto tranquilli.

I disastri della sindacalpolitica scolastica sono sotto gli occhi di tutti.

Ma bisogna rispondere senza elusioni alla domanda: “Da dove cominciare?”.

Ribolzi  non ha esitazioni a rispondere, e vi ritornerà, anche provocata da una fulminea domanda di Pasquale Lebano. Bisogna cominciare dal fattore I, il fattore insegnanti.

Gli insegnanti italiani sono troppi. Sono pagati male, Sono pagati male perché sono troppi.

Ma sarebbero pagati mali anche  se fossero di meno, qualora continuassero a “passare tangenzialmente” dalla scuola, svolgendovi un numero di ore quasi “rubato” ad altre occupazioni quotidiane più importanti, dalla famiglia al secondo lavoro.

Insegnanti meglio pagati postulano una valutazione del loro operato, come in ogni azienda che si rispetti. Valutazione significa stimolo all’aggiornamento “per restare sul mercato”, anche nella prospettiva, sempre ventilata dal nuovo ministro, che si possa giungere ad una assunzione diretta da parte delle scuole, a una “cooptazione” basata su una serie di fattori tali da assicurare alla scuola optante buone aspettative di presenza, assiduità, autorevolezza, partecipazione.

Riforma? Rivoluzione, sarebbe questa, se attuata. Attuabile? La storia non fa salti. Ma basterebbe cominciare con l’individuare le cause non delle deficienze, me delle eccellenze, che pure esistono e incrementare la “trasferibilità”, permettendo alle autonomie (universitarie, scolastiche, del mondo della ricerca) di esprimere le loro potenzialità.

 

Nicola D’Amico