Cronaca della conviviale n. 23 del 3 marzo 2008

 

Tema: "Dimenticare Berlino?"

Relatore: Dott Romano Franco Tagliati

 

La mancanza di libertà atrofizza la voglia di libertà? Dove abita la libertà? Sono solo le sbarre a minacciare la nostra libertà? O sono anche i pregiudizi, i costumi, i finti profeti della libertà? Gli uomini nascono liberi, è certo: ma quanto lo rimangono?  

Una serata che si annunciava come la descrizione di grattacieli germanici e di Alexanderplatz, di Unter den Linden e di Archi di Brandeburgo (ma il titolo della conferenza, “Dimenticare Berlino?” non avrebbe dovuto ingannare) si è trasformata, nell’intervento al Giardini di Romano Franco Tagliati, lunedì 3 marzo, in un tour nelle nostre coscienze.  

“Dimenticare Berlino?” è il libro, ancora alle stampe, di Romano F. Tagliati, giornalista e scrittore di lungo corso, che ha storicizzato gli interrogativi amari di un popolo che vive all’ombra cupa di un “muro” e si ritrova al sole, ma accecato dalla novità; che lo spirito accetta perché la libertà non ha eguali, ma la natura fisica stenta ad accettare in cambio di una concezione primordiale della sicurezza. 

Ma non andiamo oltre il pensiero di Tagliati. La sua è la descrizione di uno stato d’animo collettivo  percepito dopo la caduta del muro di Berlino tra la folla di “quelli dell’Est”; ma la sua non essendo politica, la sua essendo poesia pura, la narrazione si ferma lì, nel momento in cui il merlo captivo del racconto - con il quale ci illustra il libro da venire - non sceglie, non rientra nella gabbia della sicurezza fisica e non vola verso la libertà vera o fittizia (altri capi, altri “duci”, guarda caso, gliela stanno offrendo), ma si arresta sul davanzale per la stanchezza delle sue zampette e per l’abulia del suo spirito, mentre il “padrone”, parabola nella parabola, si illude che quell’esitazione sia amore ricambiato, un amore che riscatti le sbarre, che sublimi il suo egoismo. 

Era un Tagliati disincantato, un radar di emozioni, quello che si aggirava per le vie di Berlino, metafora della Germania intera del dopo-dopoguerra, in cui si abbracciavano finalmente i fratelli separati, ma non era tutta gioia, “perché il muro, anche se demolito, lascia lacrime che non si possono più tergere”. E’ un Tagliati dalla voce e dalla impostazione di grande attore quello che si rievoca davanti a noi, dando per scontato (è nella sua filosofia, che ci ha illustrato prima) il fatto che ognuno di noi “legga” le sue parole di bella lingua italiana (che ci sembrava scomparsa) a modo proprio, perché esiste “un rapporto tra l’oggi e il vissuto”, e con il libro letto o “ascoltato”, un rapporto che è soggettivo e, quindi, imprevedibile.  

Nessuna meraviglia se la platea rotariana accoglie la sua “non conclusione” (come lo è ogni pagina poetica) nel silenzio della riflessione, dal quale poi si leva all’improvviso un applauso allo scrittore e all’oratore. Sincero.  

E ognuno va via con un pensiero in più.

 

Nicola D’Amico