Cronaca della conviviale n. 7 del 1° ottobre 2007

 

Tema: "Dinamica dei crash-tests"

Relatore: Prof Marco Anghileri

 

 Mentre voi guidate, il Politecnico lavora per voi. Per la vostra sicurezza, attiva e passiva. Attiva: per prevenire gli incidenti della strada, per preservare uomini e preziosi strumenti, e ridurre i danni di un cattivo incontro (scontro). Passiva: per ridurre gli effetti perversi in caso di malaugurati accadimenti. Ce ne offre i particolari l’ingegnere aerospaziale professor Marco Anghileri, responsabile del Laboratorio di Crash del Politecnico di Milano, consulente, tra l’altro,  del Transportation Research Board degli Stati Uniti, cortese relatore della Conviviale Giardini del 1 ottobre 2007. Conviviale allietata dalla presenza della gentile presidente neoeletta del Rotaract Sheyla Treu, che ci regala un sorriso e riceve dal presidente Baruffaldi un segno concreto del nostro “tutoraggio” al Rotary “formato Giovinezza”.

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Dunque, se chiedete a un amico quale sia il migliore sistema per non subire incidenti d’auto, il buontempone vi risponderà di sicuro: “Andate a piedi”. Errore! La percentuale maggiore di vittime le fa la strada tra i pedoni. La minore percentuale la fa l’autobus (certo, si impasta nel traffico), preceduto largamente dal più sicuro dei mezzi, a raffronto dei chilometri percorsi, che è l’aereo. A proposito, sapete che in aereo quel tanto insultato sedile della classe turistica, stretto contro quello davanti, è il più sicuro? Ebbene sì, perché in caso di crash la vostra testa compie un percorso minore e un impatto-forza d’urto meno grave. Adesso non correte a disdire il biglietto di business class per New York, ma se pensate che… Fate voi.  

Perché i corridori di Formula 1 escono sani e sorridenti dall’auto in fiamme e ridotta a un cartoccio?

Perché sono protetti da un “uovo” d’acciaio ed essi stessi sono corazzati con elmetti direttamente inchiavardati a una tuta che di per sé è una paradossalmente morbida blindatura. Allora, perché non li imitiamo? Perché nessuna automobile da passeggio sopporterebbe un abitacolo d’acciaio supertemperato e tanto meno uno di noi andrebbe in giro imbottito come Alonzo o come Schumacher. Prendere o lasciare. Ma molto si può fare (e si sta facendo) per proteggerci la vita o una sopravvivenza decente dopo un incidente. Perché di nemici, nella strada, ne abbiamo tanti: dal catorcio con cui ci ostiniamo ad andare, all’infido guardarail, all’automobilista dissennato che sente un irresistibile desiderio di piombarci addosso, all’animale di campagna che non conosce strisce pedonali per attraversare all’improvviso la superstrada, all’albero al quale non tendiamo la pargoletta mano, ma la nostra monovolume sbandata. E ognuno di questi sciagurati incontri è radiografato e studiato dalle risorse umane e dai sofisticati computer del laboratorio di Anghileri, come da quelli di tanti altri laboratori nei paesi civili ( ma il nostro Politecnico è in cima alle graduatorie per contratti, brevetti e pubblicazioni scientifiche), alla ricerca di soluzioni adeguate, che vanno dal rinforzo dei punti deboli, allo studio delle materie ferrose e plastiche da utilizzare (come dei vetri protettivi). Non dimentichiamo che persino un innocuo e sciocco uccello, incontrato da un aereo che va a 900 chilometri orari, può avere sulla carlinga l’effetto di un missile.

Ma fondamentale è per gli ingegneri nemici del crash anche la conoscenza del corpo umano e delle sue reazioni alle sollecitazioni. E’ il collo la parte più esposta, in queste occasioni. Ed è adesso che sono dedicate le massime attenzioni. Come reagisce all’urto frontale, come all’eiezione improvvisa dell’aerbag. Ma tutte le parti del corpo sono tristemente candidate al danno. Una delle cose che noi comuni automobilisti non consideriamo, per esempio, è l’effetto “frullatore” (la parola è nostra, non degli ingegneri-anatomopatologi) che l’urto ha sugli organi interni: il cuore può non essere colpito, ma il suo spostamento, come quello di un polmone, può essere fatale.

Ad aiutare gli “ingegneri della vita” è a disposizione del laboratorio del professor Anghileri un piccolo esercito di “manichini antropomorfi”, ai quali ne capitano di tutti i colori. Ad ogni urto gli si spaccano le spalle, le costole, le gambe, si squinternano gli organi interni. E gli ingegneri, che hanno monitorato il tutto attraverso una rete fittissima di sensori, ritoccano le proprie teorie e migliorano i dispositivi che avvicinano le nostre vite a più alti tassi di sicurezza. Quei manichini sono veramente dei silenziosi eroi, benemeriti e preziosi. Speriamo che a qualcuno non venga l’idea di “salvarli”, come avvenne con il Comitato di Liberazione dei nanetti di Biancaneve. In Italia oggi è possibile tutto. 

Ma, a parte gli scherzi (ludendo dicere verum), le statistiche ammoniscono di dedicare la massima attenzione ai motociclisti e ai loro rischi. E’ questa la nuova emergenza. I motociclisti sono i più esposti. La loro categoria offre il maggiore tributo di vite umane alla strada. Il problema è arduo, ma il nostro Politecnico non è rimasto inerte all’appello. Sta lavorando anche per loro. Grazie, Anghileri, amico silenzioso di noi tutti.

 

Nicola D’Amico