Cronaca della conviviale n. 29 del 29 marzo 2006

 

Tema: “IL CODICE TRIVULZIANO E GLI ALTRI MANOSCRITTI: loro storia e significato nell'opera de Leonardo”

Relatore: Prof. Pietro Marani

 

Proiettato sulla ribalta della fama popolare grazie a un recente e fortunatissimo successo editoriale, il termine “codice”, associato a quello di Leonardo da Vinci, ha rievocato e riaffermato nell’intero pianeta l’interpretazione ottocentesca e decadente di Leonardo e della sua opera in chiave esoterica, criptica e negromantica che gli studi dell’ultimo mezzo secolo avevano sottoposto a verifica, correggendola e rendendola più vicina al vero, e cioè riportandola sul terreno delle sue effettive conoscenze e delle sue possibili fonti ma anche cercando di ricostruire una fisionomia più umana di Leonardo, riconoscendone i veri contributi scientifici e artistici, ma anche i suoi limiti ( oltre che, naturalmente, la sua originalità se commisurata alle esperienze e al bagaglio conoscitivo di tanti suoi contemporanei, artisti, ingegneri o uomini “di cultura” in senso lato che fossero ) ( MARANI 2005 ). Quanto al termine “codice”, ( dal latino caudex, quindi codex per definire un libro a tavolette di cera o a pagine in contrapposizione a quello a rotolo ) esso si applica per convenzione ai manoscritti di Leonardo in quanto composti di pagine e fascicoli senza che questo comporti un giudizio di omogeneità per quanto riguarda il loro contenuto o l’ordine della trattazione. Quel che più importa sottolineare però, è che, recentemente, la nozione di “codice” sembra postulare l’accezione comunemente invalsa di un insieme omogeneo di regole, leggi o prescrizioni, anche non scritte ( “Codice civile”, “Codice penale”, “Codice dei beni culturali”, “codice morale” ecc. ecc. ), spesso di carattere anche criptico ( “Codice personale”, “Codice di accesso”, “Codice segreto”, “Codice cifrato” ), termine spesso sostituito e tradotto ancor più di recente con la parola password. Giocando su questo senso polivalente ed ambiguo, il recente Codice da Vinci di Dan Brown, ha ulteriormente mescolato le carte, facendo leva proprio sull’associazione mentale, non tanto tra una supposta invenzione di Leonardo ( un marchingegno per “decodificare” una scritta ), quanto sugli aspetti meno chiari e criptici evocati dal termine “codice” e il nome di Leonardo stesso che, di per sé, nella cultura popolare, già evoca mistero, fascinazione, appartenenza a sette segrete, anticlericalismo e via discorrendo. Un “codice” di Leonardo, in questo senso, non esiste. Esistono dei codici cartacei, cioè dei manoscritti e, nel caso del Codice Trivulziano, come questa mostra e questo catalogo intendono mostrare,  un vero e proprio zibaldone d’appunti,  un “libro” personale ( a sua volta composto di fascicoli, da altri arbitrariamente raccolti e poi legati ), in cui Leonardo ha annotato, per sé e per se solo, e, quindi, scrivendo alla mancina”, cioè con la mano sinistra procedendo specularmente rispetto al normale senso di scrittura, una serie di riflessioni, di schizzi, di progetti e, insomma, di idee, alcune estemporanee, altre dettate da cause esterne, o motivate da parallele e pratiche incombenze, con lo scopo di fissarle sulla carta per poi procedere oltre, attraverso meditazioni o letture ulteriori o attraverso elaborazioni successive più puntuali, se non addirittura “progettuali”.

       Non che Leonardo fosse stato il primo, o l’unico, artista ad aver consegnato alla scrittura il suo pensiero. Tutta una precedente tradizione esisteva, soprattutto in Toscana,  che aveva fatto dei ricettari, degli “zibaldoni” o degli “albums di modelli”,  testi di riferimento sui quali basare la trasmissione degli insegnamenti tecnico-pratici nelle botteghe: il Libro dell’arte di Cennino Cennini ne è un famoso esempio. Inoltre, presso gli artisti-ingegneri del Quattrocento, da Taccola a Francesco di Giorgio Martini, era consuetudine fissare in quaderni o codici appunti scritti e disegni, che sarebbero poi stati travasati, con la progressiva e più consapevole aspirazione degli artisti a farsi moderni interpreti dei testi della classicità, come Vitruvio, in trattazioni teoriche, o “trattati” sull’arte. I primi manoscritti a noi pervenuti di Leonardo si collocano dunque in questo contesto, comune alla pratica medievale e rinascimentale.

         Ma forse nessun altro artista del Rinascimento ci ha lasciato, come Leonardo, un numero così ingente di manoscritti e quaderni d’appunti scorrendo i quali è possibile seguire via via non solo la biografia di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, ma anche l’evoluzione del suo pensiero e le varie tappe della sua formazione intellettuale. I primi quaderni di Leonardo, Codice Trivulziano incluso, nascono dunque come semplici zibaldoni d’appunti e disegni, in cui il maestro ( ma anche qualche allievo o compagno di bottega, come nel caso del Ms. B di Parigi, in cui compaiono disegni d’altra mano ) registra, insieme con le sue proposte artistiche, anche le curiosità e le ricette di “bottega”, oppure gli appunti che egli prendeva a seguito delle sue prime letture. Infatti, i manoscritti di Leonardo documentano, come in nessun altro caso, lo sforzo e i tentativi compiuti da un artista della seconda metà del Quattrocento per affrancarsi dal mondo degli artigiani, dei “meccanici”, o delle arti manuali, entro il quale era confinata la figura e la posizione sociale dei pittori, con l’intenzione di affermare la supremazia intellettuale, e l’appartenenza ad una classe sociale più elevata, dell’artista che si poneva al pari degli umanisti e degli uomini di scienza.         Ma, in prosieguo di tempo, la padronanza della scienza prospettica da un lato, il ruolo principe assegnato al “disegno” dall’altro, inducono Leonardo a fare della pittura e dell’arte una vera e propria “scienza”, uno strumento di indagine del mondo e dell’universo, e a rivendicare al pittore una centralità nuova e rivoluzionaria nel sistema della conoscenza ( MARANI 2003 b ). Questa non deve essere dunque basata sulla lettura dei testi canonici e sulla loro trasmissione acritica, ma deve fondarsi sull’osservazione diretta e sullo studio della natura. Privo degli strumenti necessari ad accedere al mondo delle lettere e al patrimonio scritto dell’antichità e del medioevo, perché non possiede la conoscenza del greco e solo superficialmente quella della lingua latina, Leonardo avverte i suoi limiti ma, nel contempo, è consapevole delle infinite possibilità offerte al pittore di ricreare in un suo mondo personale così come la stessa natura genera le cose.  Se di Leonardo fossero rimasti soltanto i suoi pochi dipinti, avremmo certo fatto più fatica a ricostruire i suoi tentativi di sfuggire ad una visione statica e dogmatica del sapere del suo tempo, e anche ad intuire le sue aspirazioni. Ma le migliaia di pagine scritte e disegnate, fortunosamente scampate al naufragio della storia, illuminano pienamente lo sforzo dell’ “uomo” Leonardo di dare risposte più adeguate ai problemi in cui da secoli si erano dibattuti i suoi predecessori, spesso senza avanzamenti o risultati apprezzabili. Più ancora, dunque, che le presunte “scoperte” di Leonardo nel campo del volo meccanico, dell’arte militare o della tecnica idraulica, è rivoluzionario e nuovo l’atteggiamento mentale di Leonardo e, più ancora, è nuovo e fondamentale il ruolo da lui assegnato al “disegno”, alle tecniche grafiche con cui egli rappresentava le sue ricerche, inteso come strumento dell’ “operazione mentale” e come chiave di accesso alla conoscenza. Nell’intreccio di disegno e parola scritta ( VECCE   2000; MARANI 2003 a; VECCE 2003 ), quest’ultima spesso ancillare o sussidiaria al primo, ma talvolta rivelatrice, più del disegno, del lavorio mentale, dei vari stadi di avvicinamento alla soluzione di un problema  e, persino, delle incertezze di Leonardo, dei suoi errori concettuali e delle sue riflessioni, i manoscritti di Leonardo costituiscono per la storia dell’umanità un tesoro di inestimabile valore e significato.

      Il valore e il significato dei manoscritti di Leonardo, non solo per quanto riguarda gli aspetti artistici, ma anche, e soprattutto, per il loro ruolo nella storia della scienza e della tecnica moderna, fu subito percepito da Giovan Battista Venturi nel 1797, quando li studiò nell’Institut National de Sciences et Lettres a Parigi. I dodici piccoli quaderni di Leonardo, più il mastodontico Codice Atlantico, finiti così a Parigi a causa del “sacco” operato da Napoleone a Milano nel 1796 ( dove furono contrassegnati dal Venturi con le lettere alfabetiche A, B, C, D, E, F, G, H, K, I, L , M e N per il Codice Atlantico ) si trovavano fino ad allora nell’Ambrosiana da oltre un secolo e mezzo. Erano stati quasi tutti ( salvo un paio ) donati alla Biblioteca, fondata nel 1618 dal Cardinal Federico Borromeo, dal conte Galeazzo Arconati nel 1637 ( MARINONI 1954 ).  La donazione del conte Arconati, comprendeva però anche il Codice Trivulziano, ora nel Castello Sforzesco di Milano, che era stato contrassegnato anticamente con la lettera “F” da Francesco Melzi ( PEDRETTI 1968 ) e che figurava anch’esso nell’atto di donazione dell’Arconati all’Ambrosiana del 1637  insieme con gli altri undici manoscritti e col Codice Atlantico ( ma nessun catalogo manoscritto di questa Biblioteca li registra prima della metà del Seicento) ( CORBEAU 1968, pp. 155-168 ). E’ possibile che tutti i manoscritti donati dall’Arconati raggiungessero però questa Biblioteca solo dopo la morte dell’Arconati stesso, avvenuta il 9 novembre 1649 ( FERRARIO 1996, pp. 34-35 ). Nell’atto di donazione dell’Arconati all’Ambrosiana, si menziona una clausola secondo la quale il conte si riservava il diritto di consultare a casa sua i manoscritti vinciani: forse per questo motivo, il volume quinto della donazione, da identificare appunto con il Codice Trivulziano ( “ Il quinto è un altro simil libro, coperto, e in quarto, come sopra, di fogli cinquanta quattro, nel primo de’ quali vi sono disegni di varie teste buffonesche, e l’ultime quattro colonne di scrittura scritte alla rouverscia segnato nella schiena LEONARDO DA VINCI” ),  venne sostituito con l’attuale Ms. D, giunto in Ambrosiana ad un’epoca imprecisata e finito poi a Parigi, al posto del Trivulziano che rimase dunque in Italia. Secondo André Corbeau ( 1968, pp. 147, 156, 167-68 ) quest’ultimo sarebbe stato sottratto ( forse perché nella stessa scatola in cui era contenuto il Ms. D, ciò che non implicherebbe una sostituzione ) per pervenire nelle mani di certo Gaetano Caccia, cavaliere novarese, morto nel 1752, che lo cedette, intorno al 1750, al principe Trivulzio, in cambio di “un orologio d’argento di ripetizione”, come lo stesso Trivulzio racconta, il 5 gennaio 1783,  nelle pagine da lui stesso anteposte al Codice. Costituiscono eccezione alla donazione Arconati il Ms. C, donato al Cardinal Federico Borromeo nel 1603 da Guido Mazenta, fratello di Ambrogio che, quindi, teoricamente, fu il primo fra i manoscritti di Leonardo ad entrare nella Biblioteca Ambrosiana ( ma anche questo codice non è registrato nell’Inventario dell’Ambrosiana dell’Olgiati del 1612:  segnatura Z 34 Inf. ) e il Ms. K, donato all’Ambrosiana nel 1674 dal nobile milanese Orazio Archinto, nella cui famiglia era pervenuto, molto probabilmente, per vendita da parte di Polidoro Calchi, che aveva “gestito” l’eredità di Pompeo Leoni ( avendone sposato una figlia nel 1588 ed essendo sopravvissuto ai due figli maschi del Leoni ), al padre di Orazio Archinto. Questo consente di calcolare in almeno quarantasei ( o forse cinquanta )  i volumi di Leonardo  posseduti da Pompeo Leoni, contro i 28 quaderni o codici oggi superstiti ( contando anche quelli non provenienti dalla collezione Leoni, che, dei pervenuti, ne possedette almeno venti, ma senza contare le miscellanee composte di fogli sciolti ).

        Rimasti dunque in Lombardia, almeno fino al penultimo decennio del Cinquecento ( e altri ancora ne dovevano circolare tra gli artisti: Gerolamo Figino e Aurelio Luini ne possedevano alcuni ), i codici di Leonardo equivalgono ad un importante spaccato dei suoi metodi di lavoro e di apprendimento,  e servono egregiamente anche ad illuminare dall’interno le opere del maestro, artistiche e non, eseguite in Lombardia. Tra i codici sopravvissuti, illuminano sulle opere e le attività del primo soggiorno lombardo di Leonardo ( 1482-1499 ), oltre che numerosi fogli contenuti nel Codice Atlantico e pochi nel Codice Arundel della British Library a Londra, i Mss A, B, C, H, I, L ed M di Parigi, cui si deve aggiungere il gruppo dei primi fogli anatomici nella Royal Library a Windsor, i Codici Forster I ( la seconda parte ),  II e III, nel Victoria and Albert Museum di Londra, il Ms 8937 e il fascicolo sulla fusione del Monumento Sforza accluso al Ms. 8936 nella Biblioteca Nacional di Madrid. Contengono invece riferimenti al secondo soggiorno lombardo ( 1508-1513 ), oltre che le ampie raccolte miscellanee già citate, i Mss. D, F, G e K di Parigi, il Codice sul Volo degli Uccelli nella Biblioteca Reale di Torino, e il Codice Leicester ora a Seattle, coll. Bill Gates.

       Da leggere in parallelo al Cenacolo, gli appunti dei Mss. H e Forster II, o, in relazione ai ritratti milanesi, come la Dama con l’ermellino di Cracovia, quelli sulla teoria dell’arte contenuti nei Mss. C e A di Parigi ( MARANI in VIATTE-FORCIONE 2003 ), o, ancora, finalmente, per non fornire che un terzo esempio, quelli del Ms. B di Parigi, con celeberrimi disegni di architettura religiosa e di urbanistica, illuminanti proprio per l’arco cronologico che sembra per molti aspetti coincidere con quello coperto dal Codice Trivulziano e con i temi in esso trattati ( tiburio del Duomo, studi di arte e architettura militare, studio degli auctores classici, ecc. ecc. ).  Anche se la fama e gli elogi immediatamente tributati a Leonardo dai suoi contemporanei ( per una rassegna con gli elogi di Bernardo Bellincioni, Baldassarre Taccone, Antonio Tebaldeo, Luca Pacioli,  e altri vedi BELTRAMI 1919; AGOSTI 1998; VILLATA 1999 ) devono essere considerati effetti delle sue opere artistiche: del Monumento equestre a Francesco Sforza e del Cenacolo, soprattutto, ma anche dei ritratti di Cecilia Gallerani e di Lucrezia Crivelli da lui eseguiti a cavallo tra gli anni ottanta e novanta del Quattrocento ( MARANI 1999 ), in quasi perfetta sintonia con gli anni in cui compilava il Codice Trivulziano ( anche se al ritratto della Belle Férroniere, forse Lucrezia Crivelli appunto, sembra convenire una datazione più verso la metà degli anni novanta, benché, di recente, sia stata proposta una sua cronologia verso il 1490 : VILLATA 2005 ), è indubbio che la nostra miglior conoscenza circa l’iter creativo di queste opere e il loro valore come esempi paradigmatici all’interno dell’opera di Leonardo non possa che passare non solamente attraverso la lettura e lo studio delle annotazioni teoriche sull’anatomia, le espressioni facciali, le note d’ombra e lume e sui riflessi colorati contenute in questi manoscritti, ma anche e, forse, soprattutto, attraverso una verifica delle concezioni più ampie di Leonardo in rapporto con la sua visione del mondo e dei fenomeni quale può essere desunta dalla lettura delle sue annotazioni sulla scienza della meccanica, dell’ottica e sulle scienze in genere.

        Così, anche quei temi apparentemente lontani e a prima vista slegati dall’arte, che ritroviamo nel Codice Trivulziano, contribuiscono invece ad una miglior comprensione della sua opera artistica e a farci meglio percepire l’unità e la complessità del pensiero leonardesco - la sua visione del mondo – che si traduce in prima battuta nelle pitture, ma che viene poi da lui stesso faticosamente precisata in una serie frammentaria di pensieri che sta a noi ricomporre e studiare nel loro insieme e nella loro sequenza cronologica. E se, pure, alcune opere artistiche sembrano anticipare concezioni poi messe per iscritto o alle quali egli tenta di dare solo in seguito sistematicità teorica, lo studio dei manoscritti consente di confermare quell’intrecciarsi continuo e costante fra arte e scienza che denuncia l’unità dei processi mentali di Leonardo, sia che egli realizzi finalmente un dipinto, sia che si accinga ad analizzare un fenomeno naturale o artificiale. In tutto ciò, è l’occhio a venir individuato come strumento principe dell’indagine, quello che trasmette alla mente, e poi alla mano, l’impulso a comprendere e, immediatamente, a disegnare. Anche nel Codice Trivulziano troviamo infatti intrecciati i temi centrali della ricerca vinciana e, spesso, sulla stessa pagina. Si veda, ad esempio, la pagina 71, dove osservazioni sul colpo e la percussione sono associate a “dimostrazioni” di prospettiva e a considerazioni di ottica, in una circolarità di pensieri che assimila i razzi visivi a un fenomeno di percussione e “risaltazione” e che serve stupendamente ad illustrare quella concezione meccanicistica della natura propria di Leonardo. La centralità dell’occhio e della visione sono ribadite o richiamate spesso in questo manoscritto ( si veda la sezione relativa all’Ottica, con i commenti di Giovanni Piazza alle pagine 20, 71, 74 e 75, ma anche 22, 28, 29 e 78 ) con evidenti riflessi sulla concezione della pittura, considerata altrove “specchio” della natura. Qui, invece (pagina 75), è una considerazione correlata che assimila la visione monoculare a quella fornita da un dipinto (“Le cose di rilievo da presso viste cor un sol occhio parran simile a una pittura”): ne consegue che i dipinti, per suggerire un effetto di rilievo, dovrebbero essere osservati con un sol occhio ed essere impostati secondo le leggi della prospettiva centrale ( sulle contraddizioni e i limiti della visione monoculare e della prospettiva “brunelleschiana” o “albertiana” è ricco di osservazioni il successivo Ms. A di Parigi ). Questi due temi centrali ( assimilazione dei razzi visivi ai fenomeni del colpo e della percussione, ma anche alla propagazione del suono,  e verifica della validità dei principi della prospettiva centrale ), presenti solo in filigrana nel Codice Trivulziano, saranno l’oggetto delle ricerche nei manoscritti degli anni immediatamente successivi , per trovare uno sbocco “artistico” nel Cenacolo delle Grazie, dove le reazioni degli apostoli alle parole di Cristo “Uno di voi mi tradirà” sono causate dalla propagazione di onde sonore che, come i razzi visivi, colpiscono prima l’udito e poi la loro mente, “riflettendosi” ( come appunto i “razzi refressi” ) nelle loro attitudini e nei loro gesti. E’ singolare e significativo come la visione del mondo di Leonardo, basata su un rapporto costante di causa ed effetto, fosse già presente, benché non codificata, nei manoscritti precedenti il 1490, come appunto nel Codice  Trivulziano. La scienza precede dunque l’arte ( per molto tempo si era invece pensato che, nell’opera di Leonardo, lo studio scientifico procedesse sempre e comunque dall’arte ) e i processi conoscitivi diventano una componente essenziale e talvolta generativa della creazione artistica.